Arti Elettroniche
Dal televisore alla videoarte

Non domandarti cosa la tecnologia fa per te, ma quello che tu puoi fare con la tecnologia. (1)

Quando la TV, da “elettrodomestico d’elite”, considerato all’inizio un’invenzione eccentrica e quasi inutile, divenne un po’ alla volta il “nuovo focolare”, non tardarono ad arrivare anche gli “sperimentatori” che videro in questo mezzo un nuovo materiale con cui esprimere la loro arte.
Siamo nell’immediato periodo post bellico. Abbiamo già visto come gli strumenti derivati da applicazioni militari siano stati intelligentemente e ingegnamente usati per creare arte (2); la TV non poteva sottrarsi a questo inevitabile percorso.
Sono due i personaggi considerati i padri putativi dell’arte in video. Iniziamo con il tedesco Wolf Vostell. Protagonista di spicco del movimento Fluxus, già nel 1958 inserisce “l’oggetto televisore” nei suoi “Dé-coll/ages” , con l’intento esplicito e ideologico di denunciare l’ottusità omologante e condizionante dell’uso commerciale del mezzo. La televisione, con le sue normali trasmissioni, viene incastonata tra le memorie e i lacerti dei campi di sterminio nazisti nell’allestimento del ciclo delle Schwarzes Zimmer (Berlino, 1958-1959). (3)
"- Arte come spazio, spazio come ambiente, ambiente come avvenimento, avvenimento come arte, arte come vita - vita come opera d'arte - nessuna fuga dalla realtà, ma nella realtà - arte come avvenimento, come happening, lasciar provare sul proprio corpo - diventare e lasciarsi diventare persino colore, luce, tempo, materiale, rumore e perfino arte - non migliorare il mondo, ma creare un nuovo rapporto con lui (…)
-non riprodurre alcun evento, ma lasciare che si verifichi ciò che è originale (…) - sentire e far sentire il caso come creativo - scoprire e far scoprire il senso nell'assurdo - scoprire e far scoprire l'assurdo nel senso (…)
- cancellare per vedere e far vedere chiaro - invece di spettatori, esecutori e partecipanti" (Wolf Vostell).
Questi “brani” di una delle "partizioni" di un happening di Vostell, che egli redige in forma di note, di istruzioni, ci dà testimonianza della filosofia del suo operato artistico. Il concetto emergente è l'equazione Vita=Arte, per cui le sue opere, soprattutto gli happening, tendono ad eliminare sempre più ogni separazione tra l’espressione artistica e la Storia, l'ambiente sociale, la gente. L'arte per Vostell non è silenziosa, è polemica, non accetta compromessi, deve dire come stanno le cose e stimolare una coscienza critica, deve mettere in crisi i sistemi morali e le ideologie affermate dalla storia, deve rendere liberi.
E' la distruzione della seconda guerra mondiale che egli sperimenta sulla propria pelle fin da piccolissimo, infatti Wolf Vostell nasce a Leverkusen (Colonia) nel 1932 da una famiglia di origine ebrea che dovette lasciare il paese all'inizio della guerra: "L'immagine dominante della mia infanzia è stata quella dell'uomo morente. Assistetti al primo happening a nove anni: durante un allarme aereo, fummo costretti a uscire dalla scuola e a correre per i campi, ci riparammo ognuno sotto un albero diverso e dal mio nascondiglio vidi un combattimento aereo e bombe che cadevano dal cielo simili a stormi di uccelli".
Nel suo primo viaggio a Parigi, leggendo una notizia su Le Figaro, egli scopre il termine “dé-coll/age”, che oltre a significare “decollo, elevazione di un aereo da terra”, vuol dire anche “separazione, distacco, morte”; la contraddizione di un aereo che precipita, appena alzatosi in volo, lo colpisce enormemente, in quanto vi legge l'esatto processo distruttivo della vita: "quella notizia ha scatenato in me l'interesse per la realtà, per i fenomeni complessi del tempo e dell'ambiente in cui vivevo. Nacque in me la necessità impellente di includere nella mia arte tutto quello che vedevo e ascoltavo, sentivo e apprendevo e, partendo dal significato lessicale della parola dé-coll/age, di applicarne il concetto alle forme aperte e scardinate di frammenti mobili di realtà, cioè, agli avvenimenti. (…) I collage in movimento sono avvenimenti. Gli avvenimenti sono trasformazioni". (4)
Se l’importante lavoro di Vostell è orientato maggiormente alla decontestualizzazione del mezzo, diverso è quello di Nam June Paik, l’altro “padre” della videoarte.
Musicista Coreano, nato nel 1932, compie i suoi studi artistici a Tokio, dove si laurea con una tesi su Arnold Schönberg, proseguendo poi gli studi in Germania, con Stockhausen e Nono. La musica contemporanea traccia le sue opere in maniera costante, arricchendole e interagento con esse. La sua esperienza più famosa è certamente quella del marzo 1963 quando, assieme a Wolf Vostell, crea la prima azione tramite il mezzo televisivo, dal titolo “Exposition of Music-Electronic Television”, alla galleria Parnass di Wuppertal, considerata la prima esposizione di Videoarte. Consisteva in un'installazione con 13 video-monitor, messi a caso, che riempivano lo spazio con l'emissione di immagini ferme interagenti con gli spettatori. Da questo primo passo nascono una miriade di idee e invenzioni, che per ben 40 anni hanno avuto un ruolo fondamentale nell'introduzione delle immagini elettroniche in movimento nel mondo dell'arte. Anche Paik appartiene al gruppo variegato di artisti Fluxus che avevano individuato nei mass media la parte più negativa della cultura del tempo. Questi cercavano l'interdisciplinarità totale dei mezzi da usare, e privilegiavano il processo creativo piuttosto che l'oggetto finale. Ma più che opere vere e proprie, gli artisti Fluxus, preferivano dare vita ad "azioni”, documentate da riprese video, foto, dischi, partiture musicali e documenti di vario genere.
Nel 1964 vi entra a far parte, soprattutto per volere di Paik, l'americana Charlotte Moorman, diplomata in violoncello classico alla Julliard, solista dell'American Symphony Orchestra, diretta da Leopold Stokowski. Essa diventa immediatamente una delle protagoniste più originali della scena sperimentale newyorkese degli anni Sessanta e Settanta. Donna di aspetto affascinante, occhi blu screziati di verde, una grande massa di capelli castano dorati, il sorriso radioso, è stata definita da Edgar Varèse "la Giovanna d'Arco della nuova musica", infatti, nel 1963, ha fondato il New York Avant Garde Festival.
La collaborazione con Paik ha avuto momenti molto emotivi e intensi per alcuni anni, e la loro collaborazione è durata ben 30 anni; con lui la Moorman partecipa a una serie di importanti "happenings", tra cui Opera Sextronique (1967) in cui Paik, il quale pensava che la sessualità fosse una componente importante dei media, ha convinto la musicista a mettere due piccoli televisori sul seno nudo, mentre suonava un "violoncello" composto da tre monitor, che disegnavano un corpo femminile.
Si è creato così un clima erotico e dissacrante, che ha scandalizzato il pubblico, e alla Moorman è costato un arresto, e il soprannome di "la violoncellista in topless". Un altro evento sorprendente è stato quello di voler costruire un duetto con il robot K-456 di Paik, insieme al quale ha suonato PLUS-MINUS di Stockhausen. (5)
Le creature di Paik costruite con vecchie radio, orologi, televisori, telefoni, (per lui la vera grande scoperta del secolo), macchine fotografiche, antenne, vecchi mobili, sculture, biciclette, pezzi di macchine, sommati ad immagini, non sono frutto di feticismi tecnologici, o idolatria della macchina, ma semplicemente l’artista, con grande ironia, ridisegna i “giocattoli” della sua infanzia, mette in discussione il valore del video o del televisore dicendo che annoiano e creano troppe immagini [...] Paik pensa l’arte in un’ottica che è quella della sua genesi e del suo essere costantemente in “fieri”, e non appunto un prodotto finito. In questo modo l’artista si approssima alla filosofia: la visione libera le forme del mondo dalla necessità della realtà e prefigura così un mondo diverso da quello esistente. La sua ricerca artistica continua ininterrotta fino alla sua morte, avvenuta il 29 gennaio 2006.
L’illuminazione Zen è lasciar cadere ogni differenza sino a “percepire” la permanenza di un piacere, nonostante, o al di là, di ogni sofferenza.

Ezio Turus
Docente DAC

(1) Gino di Maggio, “Nam June Paik. Lo sciamano del video”, Mazzotta Ed., 1994
(2) John Whitney – FOTOIT maggio 2006
(3) Pag. 15, Silvia Bordini, “Arte Elettronica” Giunti Editore, 2004
(4) http://www.protagonistidellarte.it/vostell.html
(5) http://www.museodellafotografia.com