“Quando il bambino era bambino, non sapeva di essere bambino, per lui tutte le cose avevano un’anima e tutte le anime erano una cosa sola. Quando il bambino era bambino, non aveva abitudini, sedeva spesso a gambe incrociate, e di colpo sgusciava via, aveva un vortice nei capelli e non faceva facce da fotografo.”
Inizia così “Il cielo sopra Berlino”, struggente film di
Wim Wenders, narrato dall’occhio trasfigurato di un angelo. E inizia
così anche il viaggio di una fotografa di nome Angelica attraverso una
quotidianità vista con un occhio intenso e ancora incontaminato, che
ha trovato in una Lomo la complice ideale per calarsi nella grande arena
dei cosumatori/produttori di immagini.
Il suo è uno sguardo in perenne movimento, a volte giocoso, preda della
vertigine della scoperta, altre volte impegnato a destrutturare luoghi e situazioni
per penetrare l’essenza delle cose; il percorso inizia dal giardino di
casa, tra rampicanti che sussurrano alla brezza domenicale; l’autrice
coglie la rilassata vicinanza degli amici, poi prosegue spostandosi in automobile
per osservare, naso all’insù, gli edifici cittadini che le roteano
intorno, stagliati su quel cielo turchino che avvolge i passanti. Non è il
giornaliero tragitto da subire, è la passeggiata della festa e della
vacanza, tra l’argento delle fontane e l’oro spruzzato sui marciapiedi, è la
sosta in un bar, sotto l’ombra amica di una tenda; è la visita
ai parenti, per dialogare nella lingua segreta dei gatti, è assaporare
il profumo di terra e di erba in un parco pubblico.
Un ultimo scatto giù dallo scivolo, poi via, è ora di tornare
a casa. La macchina fotografica viene riposta accanto al cesto dei giochi,
ora sarà la Biba, bambola dalla gamba scucita, a vegliare, con il
suo sguardo perennemente stupito, il sonno di Angelica, piccola grande fotografa
di cinque anni.
Lorella Coloni
Docente DAC FIAF
Volevo rimuovere definitivamente questo nome, se non altro per cancellare dalla memoria una persona assolutamente negativa per la mia vita;
poi ho pensato che invece è giusto e doveroso ricordare.
Ricordare dove ho gettato 10 anni di vita, ricordare la meschinità di questa individua, dell'ipocrisia celata dietro la sua falsa apparenza, del male che mi ha fatto e che continua a fare, a me, alle figlie e a quanti credono ancora ciecamente in lei.
Ricordare le infinite sputtanate che tirava (e probabilmente continua a tirare) verso le persone che adesso ama tanto frequentare.
Ricordare il perchè è venuta a rovinare la mia tranquilla vita che stavo conducendo, a farmi sparire gli amici che avevo, i miei entusiasmi.
Ricordare tutte le infinite volte in cui io non ero considerato alla sua altezza, per il mio modo di vestire, per il mio modo di parlare...
Per lei ero un "tossico", con i capelli lunghi e mal curati, vestito di stracci, inadeguato per la mia età.
Eppure questa "artista" come si professava, veniva dal nulla, da lavori di operatrice ecologica, e l'arte digitale era puro astrattismo per lei.
Ora invece si professa "esperta", all'avanguardia, innovativa...
Rcordare per non cascarci un'altra volta.
Ricordare e lasciare che questa persona vada a fare altri danni su altre strade, il più possibile lontano dalle mie.
Che si approfitti pure di altre persone, che inganni anche loro, ancora una volta e chissà quante volte ancora.
Gli amici che avevo, se sono tali, sapranno capire bene le mie parole ... se non lo sono, non ho perso nulla.
Ezio Turus
È il bisogno di esprimere e far emergere il disagio la causa finale di queste opere: un disagio che è disadattamento e che sceglie artificio e natura per parlare.
L'uditorio è universale; i toni sono incolori, dal bianco puro al nero assoluto, passando per tutta la scala di grigi; i contenuti sono letteralmente strappati alla quotidianità, snaturati, combinati, fusi in forme strazianti, fatti oggetto di metamorfosi fantastiche, resi protagonisti di ambientazioni oniriche e surreali.
Chi guarda si mette in ascolto, come in attesa di un suono, non riuscendo ad immaginare se sarà musica o parola o un grido. Il visitatore saprà scorgere l'umorismo celato dietro l'angoscia?
Federico Bebber nasce a Udine nel 1974; si occupa di arte digitale dal 1998. Da allora produce le sue opere utilizzando strumenti digitali su materiali foto-illustrativi; il processo creativo è solitamente lento e notturno; i risultati vengono offerti al pubblico soprattutto attraverso internet, oltre che prendendo parte ad esposizioni.
"System works because u work"
O.G.M. è il contenitore di immagini provenienti da varie tematiche.
Immagini oniriche ed introspettive, pagine aperte su spaccati di vita quotidiana, sui meccanismi esistenziali dell'essere umano nell'era della globalizzazione, dei computer, di internet.
Le figure femminili come appaiono, non vogliono essere altro che una rappresentazione
estetica dell'essere umano, inteso in senso ampio nell'interno del percorso niente
affatto facile del vivere la nostra quotidianità.
Basta poco per creare le immagini di Gloria, eppure non sono immagini che tutti sono in grado di creare.
Forse perché l'ingrediente base è quello che non si trova neanche nei gadget della più dotata reflex digitale autotutto: la fantasia.
È la fantasia il comune denominatore delle foto di Gloria, e sono frutto della sua straordinaria sensibilità: la tecnica è quella che serve sul momento, quindi mai ripetitiva, e non è quella che può sembrare da una prima occhiata, cioé digitale.
Contro qualsiasi apparenza, la maggior parte delle foto di Gloria è realizzata con tecniche tradizionali: sandwich, esposizioni multiple, trattamenti e maltrattamenti dell'emulsione.
Qualche volta il montaggio avviene anche grazie al computer, è vero, ma non è la cosa fondamentale per giudicare le sue immagini: non è il mezzo che c'interessa, né la marca della sua reflex o dei suoi obiettivi.
Ci interessano le sue immagini che ci affascinano, ci coinvolgono, ci sbalordiscono e ci fanno pensare.
Possono non piacere a tutti (soprattutto i puristi della fotografia storceranno
il naso), ma a Gloria va riconosciuto il merito di allargare quella altrimenti
sottilissima linea di confine tra la fotografia come documentazione della realtà e la rappresentazione del proprio mondo interiore.
Ma non solo di questo si tratta: Gloria osserva, assorbe, interiorizza e restituisce le sue emozioni sotto forma di immagini, a volte di racconto.
Difficile capire quando finisca la trasmissione del proprio vissuto e quando
inizi il suo semplice raccontare ciò che vede e vive quotidianamente anche se, ovviamente, sempre filtrato attraverso se stessa e la sua sensibilità, ma credo che non sia importante come non sia importante porsi troppi perché nell'osservare le sue immagini: provate ad osservarle con la mente sgombra e lasciate che le emozioni vi inondino, che le forme e i colori si trasformino in parole ed emozioni, a volte musica.
Sì, proprio musica: sembra quasi di sentire una colonna sonora di accompagnamento e si termina la lettura del portfolio convinti di aver visto un film.
La musica termina, la pellicola smette di scorrere e si riaccendono le luci
in sala. E si resta senza parole mentre ci si avvia verso l'uscita con delle
sensazioni che non ci abbandoneranno più.
Rino Giardiello © 07/2008
Una serata di gala, una donna elegante che si sta preparando, con il vestito già indossato, con gli accessori del trucco sparsi davanti allo specchio, dove si vede benissimo la sua bellezza, ma si sa che dopo il trucco, sarà più affascinante, più desiderabile.
Questa è la Torino che Fulvio Bortolozzo ci fa vedere nella sua “Olimpia”. Immagini, realizzate tra l’aprile del 2004 e il febbraio del 2006, di una Torino frastornata dai preparativi per il grande evento olimpico, che oramai tutti noi abbiamo lasciato alle spalle, ma che ha segnato per questa città una trasformazione ancora percepita dai suoi abitanti.
Nessun frastuono, nessuna tifoseria, nessun grido, di gioia o di dolore è ancora echeggiato tra gli scavi, i lavori edili, le macchine... tutto deve ancora avvenire, mentre Torino si sta truccando, si rende presentabile, anzi, “irresistibile”, per i milioni di occhi che la vedranno sotto i riflettori solo per pochi istanti.
Ma lontano da questi riflettori, Fulvio ci vive, ci abita come le migliaia di torinesi che giornalmente sentono questa trasformazione. Sa che questi momenti di transizione non si ripeteranno mai più e sa quale importante ruolo la fotografia ricopre.
Guarda la sua città quasi distaccato, di notte, quando la frenesia del lavoro lascia riposare gli occhi, quando le macchine sono spente e la terra riaffiorata può, per qualche ora, essere protagonista, prima di ritornare sommersa da asfalto, automobili, frenesia ed emozioni.
E' il respiro delle cose, dei luoghi, prima interiori, che esteriori, ad essere i veri protagonisti di Olimpia. Un luogo “non luogo” che le immagini di Bortolozzo raccontano come la città può in breve tempo cambiare, rinnovarsi, lucidarsi a festa.
Proprio come una bella donna, che prima di apparire sotto i riflettori sa come truccarsi al meglio.
Ezio Turus
luglio 2008