Un vedere il proprio “piccolo mondo antico” con
un occhio nuovo e sapiente, che ha immagazzinato, rielaborato e fatto proprie
migliaia di
immagini di una cultura visiva contemporanea che si nutre con eguale vitale
interesse sì di fotografia, ma anche di pittura, di grafica, di digital-art,
di video-art, di cinema… Il risultato è la serie di fotografie
che Ezio Turus dedica al proprio paese: San Lorenzo.
Già dalla scelta del medium le immagini giocano su interessanti contrasti:
Turus utilizza la polaroid che, viste le attuali potenzialità del
digitale, porta con sé una nostalgica modernità oramai desueta:
e con questo mezzo gioca rielaborando, sovrapponendo gli scatti, intervenendo
graficamente a dichiarare con evidente chiarezza che la sua fotografia e
la più lontana possibile dall’immediata mimetica rappresentazione
della realtà.
Al contempo proprio queste immagini mosse, sovrapposte, veloci sono vere:
sono quelle che in un guardare rapido restano impresse nella nostra memoria
per venire poi riprese in maniera così fantasiosa da creare nuovi
affascinanti assemblage che si fanno, ad esempio, scene metropolitane debitrici
della pop art sia americana che italiana: quella delle pompe di benzina,
della strada, dei muri reinventati dai writers.
Ma su qualcosa la visione si ferma, insiste scoprendo ad esempio l’ineguagliabile
magica semplice bellezza della natura (un fiore, le fronde degli alberi,
la distesa di un campo assolato) o il potere evocativo di un elemento architettonico
o scultoreo: non necessariamente di un’opera di particolare pregio
artistico ma di certa empatia per chi insiste, tra molte, proprio davanti
a quella finestra o a quella semplice sedia da bar o a quel putto.
Ci piace immaginare le storie di chi vive (o è vissuto) in quella
casa, di chi riposa tra quelle pietre, di chi si è seduto su quella
sedia ora vuota… ed è un altro possibile racconto denso di nuove
emozioni.
Tracce per una lettura, luglio 2007
Emanuela Uccello
Trieste è, per me, una città speciale, densa
di sensazioni e di contrasti.
E' strano che sia io a parlarne, non vi sono nato, non vi vivo, ci passo,
ci lavoro, ci vedo mia figlia crescere ... ma proprio per questo, per il
naturale
distacco che si frappone tra me e questa città, ne ho sempre tratto
un'immagine controversa. L'eleganza del “salotto buono”, dove la
polvere viene annidata sotto il tappeto, nell'attesa che l'ospite esca e, forse,
non si accorga del tavolino traballante.
Vedo Trieste nel sole che si specchia sul mare, nel cielo terso, nelle facciate
dei palazzi lucidate a nuovo .... e la vedo nelle immondizie con cui la bora
si prende gioco dei suoi abitanti, sventolandogliele in faccia; vedo il traffico,
il rumore, l'inivibilita, il cemento della periferia che contrasta con la
suadente raffinatezza del centro. L'ho ritratta secondo il mio personale
punto di vista, con un mezzo semplice come la Polaroid, snaturando la già precaria
affidabilità della fotografia con interpretazioni dettate dell'atmosfera
stessa dei luoghi.
Trieste è così! Bella, intensa, graffiata, invivibile, splendida,
decadente, caotica ... una città!
Quando un'intera città è un "non luogo", arrivano dei momenti in cui il suo aspetto è quanto di più lontano si immagini dalla giocosa spiaggia estiva a cui siamo abituati a pensare.
La sua funzione temporanea è cessata, l'enorme massa urlante di gitanti, di ombrelloni, di automobili e di nottate rumorose sono solo ricordi di un'estate e progetti della prossima.
In inverno Lignano non è un luogo "desiderabile" per una vacanza, ma mette alla luce tutti gli intimi aspetti che la sua natura tende a nascondere.
Come una serata in pantofole, senza trucco e spettinata, con gli abiti dismessi ma in attesa di prepararsi per una nuova smagliante giornata.